venerdì 22 maggio 2009

Giovanni Falcone

« Chi tace e chi piega la testa muore ogni volta che lo fa, chi parla e chi cammina a testa alta muore una volta sola. »
(Giovanni Falcone)



Il 18 maggio 1939 doveva essere proprio una bella giornata. Una di quelle giornate in cui nascono le speranze: è raro che accada, ma quel giorno è avvenuto così. Purtroppo le speranze non durano in eterno e le puoi ritrovare a fianco di un’autostrada smembrata. E’ successo così a Giovanni Falcone, il 23 maggio 1992. Un magistrato, un uomo, la speranza di questo paese. In un attimo svanito tutto ed è bastato premere un bottone. Dopo la creazione del pool antimafia, insieme a Paolo Borsellino, Falcone e i suoi collaboratori portarono avanti il lavoro di Chinnici istaurando il processo per mafia più importante della storia. Dal canto suo la “montagna di merda” cit. Peppino Impastato, cercava di creare il vuoto attorno ai giudici del tribunale, tanto che Falcone e Borsellino dovettero ritirarsi all’Asinara per completare l’istruttoria. In quell’evento si vide il senso di giustizia che ha sempre avuto lo stato: infatti i due magistrati dovettero pagare di tasca loro il soggiorno. Ma il 16 novembre 1987 diventa una data storica e insieme un momento fondamentale per il Paese, che per la prima volta inchioda la mafia traducendola alla Giustizia. Il Maxiprocesso sentenzia 360 condanne per complessivi 2665 anni di carcere segnando un grande successo per il lavoro svolto da tutto il pool antimafia. Poi un bel giorno arrivò un grande signore, Antonino Meli, che pensò bene di smantellare il pool antimafia. Il 21 giugno 1989, i sicari di Salvatore Riina misero un borsone contenente esplosivo, nella spiaggia antistante la villa di Falcone. L’attentato, però, fallì.

"Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno. In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere."


Il 23 maggio 1992 lo sappiamo benissimo cosa successe. La speranza venne eliminata. Giovanni Falcone, transitando sull’autostrada all’altezza dello svincolo di Capaci, venne fatto esplodere con 500 kg di tritolo. In un attimo svanì tutto: i sogni, la speranza, la giustizia e poi lui, un eroe, un uomo, Giovanni Falcone. Lasciato solo dallo stato in balia di quei mostri che governavano la Sicilia.
Con lui morirono anche sua moglie Francesca Morvillo, anch'ella magistrato, e tre agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Di Cillo, Antonio Montinaro.
Due giorni dopo, mentre a Roma viene eletto Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, a Palermo si svolgono i funerali delle vittime ai quali partecipa l'intera città, assieme a colleghi e familiari e personalità come Giuseppe Ayala e Tano Grasso. I più alti rappresentanti del mondo politico, come Giovanni Spadolini, Claudio Martelli, Vincenzo Scotti, Giovanni Galloni, vengono duramente contestati dalla cittadinanza, che improvvisamente si era svegliata.
« Un uomo fa quello che è suo dovere fare, quali che siano le conseguenze personali, quali che siano gli ostacoli, i pericoli o le pressioni. Questa è la base di tutta la moralità umana. »
(J.F.Kennedy)

Onore a lui e ai suoi veri collaboratori. Non finiremo mai di ringraziarlo.
Guai a chi dice che Falcone era un servitore dello stato, lui non era un mafioso!
«Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini.» cit. Giovanni Falcone

domenica 1 febbraio 2009

morto Giuseppe Gatì

Un ragazzo di 24 anni, Giuseppe Gatì di Campobello di Licata, è morto folgorato nel pomeriggio di oggi in un caseificio di proprietà del padre in contrada Rocca di Mendola in territorio di Naro.

Il giovane è stato trovato nei pressi di un recipiente di metallo e il cadavere presentava i polpastrelli delle dita di una mano completamente carbonizzati. Sul posto sono giunti i carabinieri di Naro e della Compagnia di Licata che hanno effettuato i primi rilievi.

L'indagine è condotta dal sostituto procuratore della Repubblica di Agrigento Gemma Miliani. Giuseppe Gatì alcune settimane fa si era reso protagonista di una vivace contestazione a Vittorio Sgarbi che era stato invitato ad Agrigento per presentare un libro. Il giovane aveva duramente contestato Sgarbi che aveva reagito tentando di sottrargli la videocamera.

fonte: http://www.agrigentonotizie.it/notizie/leggi/33764/folgorato-da-scarica-elettrica-morto-giovane-24enne.html

Molti di voi non lo conoseranno.......Giuseppe Gatì era un giovane che aveva denunciato molte volte il sistema mafioso della sua bellissima regione, si era fatto anche protagonista di un episodio, di cui il video sopra, in cui il giovane contestò Vitto rio Sgarbi, perchè questo aveva mosso delle accuse contro il giudice del pool antimafia Caselli, oltre che essere stato condannato per truffa ai danni dello stato.
Ora questo giovane è morto, folgorato.......cioè io spero sia morto folgorato, anche se credo che questa folgorazione non sia poi così accidentale.

vi lascio il link del suo blog: LA MIA TERRA LA DIFENDO
vi invito inoltre a leggervi anche il post del dopo contestazione, dove potrete vedere la corruzione della polizia.
Facciamo in modo, tutti dai piemontesi ai siciliani, che il suo sacrificio non sia stato vano.

"Viava Caselli, viva il pool antimafia." cit. Giuseppe Gatì

sabato 31 gennaio 2009

informazione italiana

Qualcosa di straordinario sta accadendo in questi giorni. Per la prima volta la rete e la sua "memoria" rischiano di scalfire seriamente il paludato mondo dell'informazione italiana. Per un giorno e mezzo le pagine web dei commenti di Corriere della Sera e della Repubblica sono state intasate da centinaia e centinaia di messaggi di lettori indignati per il modo con cui era stata seguita dai due quotidiani la manifestazione di piazza Farnese. Solo uno sciocco potrebbe dire che si trattava esclusivamente di sostenitori di Di Pietro decisi ad assediare con le loro proteste le redazioni dei giornali. Certo, tra di loro i dipietristi non mancavano. Ma la verità è un'altra. Anche in Italia esiste ormai un pubblico nuovo che cerca d'informarsi attraverso la rete.

I giornali scrivono che Di Pietro ha attaccato Napolitano dandogli del mafioso? Si va sul web, si rivede il suo intervento. E ci si fa un'opinione.

All'improvviso il re resta nudo. La realtà non è più mediata. È immediata. Ciascuno può giudicare, almeno per quanto riguarda eventi pubblici come questi, se i cronisti hanno riportato fedelmente i fatti, o meno. Se gli opinionisti ragionano sulla realtà o su quella che loro vorrebbero essere la realtà.

Rispetto a questa rivoluzione le classi dirigenti del Paese sembrano vecchie di molti secoli. Del resto proprio i quotidiani ieri ci hanno spiegato che Napolitano aveva deciso di replicare con un comunicato a Di Pietro dopo aver letto i dispacci delle agenzie su quanto stava accadendo in piazza. È stato lì, su un take di agenzia, che lo staff del Presidente ha trovato la prima ricostruzione sbagliata degli avvenimenti (la frase sul «silenzio mafioso» veniva impropriamente accostata ad altre). Ed è stato in quel momento che è scattata la reazione. Un corto circuito mediatico, insomma, facilitato dall'ormai evidente avversione del Quirinale per le voci che cantano fuori dal coro Pd-Pdl, ma pur sempre un corto circuito.

La stampa su tutto questo deve riflettere. I quotidiani sono in crisi, perdono copie ogni giorno, mentre le loro pagine web doppiano ormai come diffusione quelle di carta. Prendere sotto gamba il popolo della rete insomma è pericoloso. Anche perché la pubblicità, vera linfa vitale dei media, è destinata a spostarsi sempre più su internet. E in futuro vicinissimo le vere battaglie per la conquista del mercato si giocheranno lì.

Quello che è accaduto negli Usa, dove Obama ha raccolto attraverso il web milioni e milioni di dollari per la sua campagna elettorale e dove giornali dalla storia centenaria rischiano di chiudere, è un segnale di quanto avverrà da noi. Quello che è successo con gli articoli su piazza Farnese è invece un monito per molti giornalisti che dovrebbero ricominciare a ricordare di avere un solo padrone: il lettore.



fonte: http://voglioscendere.ilcannocchiale.it/?id_blogdoc=2156385


Forse i cittadini si sono accorti che l'informazione è in mano a pochi politici corrotti e mafiosi. La manifestazione di piazza farnese è un altro esempio di come i giornali siano corrotti: hanno preferito riportare gli insulti di di pietro verso napolitano ( anche se nessuno ha insultato nessuno ), piuttosto che riporatare kle parole si salvatore borsellino o delle famiglie vittime della mafia. Questa volta però i cittadini se ne sono accorti e hanno invito molte proteste contro i giornali..........che si stiano risvegliando???

domenica 4 gennaio 2009

MALATA DI TUMORE: 'NON POSSO CURARMI, VOGLIO L'EUTANASIA'

MALATA DI TUMORE: 'NON POSSO CURARMI, VOGLIO L'EUTANASIA'
di Adam HanzelewiczCASTEL DI SANGRO (L'AQUILA) - Angela Scalzitti deve vivere in modo dignitoso e sereno la sua malattia: è questa la ragione che ha spinto l'amministrazione comunale di Castel di Sangro, il Comitato Civico interregionale Abruzzo e Molise e i cittadini a una gara di solidarietà che ha permesso finora alla donna, malata di tumore, di continuare le cure, nonostante lo stato di indigenza che l'aveva spinta prima di Natale a chiedere l'eutanasia e a ribadire in questi giorni il suo proposito. L'unica fonte di reddito della signora è la pensione d'invalidità, 250 euro al mese, dei quali 100 sono destinati alla figlia che studia all'Università di Siena. A metà ottobre la commissione di Medicina Legale della Asl di Avezzano-Sulmona aveva rigettato l'istanza di accompagnamento presentata dalla donna per la grave malattia che la costringe a percorrere 250 chilometri per sottoporsi alle cure che deve sostenere nel reparto di oncologia dell'ospedale di Pescara. Da qui, il 23 dicembre scorso, la decisione della malata di chiedere l'eutanasia. "Se devo continuare a vivere in questo modo senza la possibilità di potermi curare - aveva detto la donna - mi si dia la possibilità di avere una morte dignitosa. Se in Italia non è possibile, lo Stato mi dia la possibilità di poterla avere in un altro Paese. Meglio che morire di umiliazioni, di freddo, di fame, di inedia". La richiesta shock ha mosso le istituzioni locali, primo fra tutti il Comune di Castel di Sangro, che attraverso un contratto di solidarietà con la locale Comunità Montana ha provveduto a garantire alla donna un autista privato per accompagnarla in ospedale. Inoltre lo stesso Comune impugnerà, accollandosi le spese di giudizio, il provvedimento che rifiuta l'assegnazione dell'indennità di accompagnamento alla malata. "Non conosco quale sia la legge - ha sottolineato oggi la Scalzitti - ma se vi fosse una normativa che nega alle persone nella mia condizione un aiuto per curarsi, allora dico che si tratta di una legge razziale e non cristiana, perché porta le persone povere, indifese, fragili e indebolite come me a morire sole e senza nessuna dignità". Oltre all'intervento del Comune prosegue la raccolta di fondi avviata ieri dal Comitato civico interregionale Abruzzo e Molise: le offerte in denaro si raccolgono in via XX Settembre 18, presso la sede del Comitato. "E' una vergogna quello che sta succedendo ad Angela - afferma la responsabile della sezione sangrina del Comitato, Maddalena Stinziani -: vorrà dire che se non ci penseranno le istituzioni proveremo noi a fare qualcosa per lei almeno sotto l'aspetto di un aiuto economico che pensiamo di raccogliere grazie alla grande bontà dei cittadini di Castel di Sangro e di quanti vorranno partecipare". Secondo la Asl Avezzano-Sulmona la signora può comunque percepire un sussidio e un rimborso spese per i viaggi sostenuti per raggiungere la struttura sanitaria dove sottoporsi alle cure in base a due leggi regionali.